Quante volte ho sentito questa battuta. Un modo di dire che non ha confini idiomatici e uno dei tanti aforismi della nostra cultura. “No corras que correr es de cobardes“. Simpatica vero?
Ed invece io iniziai a correre proprio per scappare. Sì, per fuggire da un dolore “forza 10” che al tempo mi sembrò insormontabile e alienante.
Era un fine maggio di ormai quasi dieci anni, quando tornando da Valencia, un viaggio lampo per dare l’ultimo saluto a Mamá, decisi di non piangere ma di lasciare scendere dalle mie scarpe, ad ogni passo, la scia di tristezza che stavo vivendo. Una perdita troppo precoce ed ingiusta che svegliò in me una consapevolezza feroce. Il vero valore del tempo e la sua effimerità.
Non mi sentì vulnerabile e neppure impotente dinanzi a questa perdita, ma cambiò radicalmente la mia percezione del tempo e del suo peso e, come su una bilancia, la qualità prevalse sulla quantità.
Da allora ho corso tanto. Da sola e in compagnia, con sole e al buio. Ho sfamato gli occhi e i sensi in ogni dove a passo svelto e così ho trovato il mio Mare. Adesso non ho più bisogno di scappare!